Ginevra Tarabusi

La prigioniera del libro

 

 

 

Ginevra Tarabusi, classe 1996, somiglia a una delle creature che popolano i suoi libri. È un’artista originale, un’illustratrice sensibile e moderna, intimamente legata alla dimensione del libro.

Cresciuta a Pavia, Ginevra ha studiato Pittura all’Accademia di Brera a Milano, dove ha intrapreso il suo percorso artistico. I primi tempi la sua mano esitava, percorreva il foglio e tracciava figure indecifrabili incapaci di soddisfarla, e questo perché era inquieta, preda di quella odiosa insofferenza che tormenta i creativi tutte le volte in cui non riescono a esprimersi.
Risale a quel periodo il suo primo quaderno, un album consunto da un’estenuante ricerca. In questo volume l’artista concentra uno sforzo creativo spasmodico, disperato. Ha da poco adottato il nuovo supporto ma lo adopera ancora per ritrarre ingenuamente i suoi compagni di studio. Abbozza così le loro teste con le tecniche più disparate, ad acquerello, a carboncino, con il caffè, con il bitume, addirittura utilizzando il mordente e comunque secondo uno stile ancora immaturo. Non può contare su una consumata esperienza e per questa ragione i suoi primi lavori risultano ancora piuttosto primitivi. In effetti, potremmo addirittura ricondurre questa prima fase della Tarabusi – che chiameremo il “periodo dei ritratti” – alle produzioni dell’Art Brut o di quella Naïf. Due linguaggi importanti che ancora oggi informano involontariamente la sua opera.
Questo indugiare sul volto conduce Ginevra a sperimentare in maniera originale le diverse prospettive attraverso cui guardare alla realtà. In questo modo, sfogliando le prime pagine dell’album si intuisce una progressiva esasperazione del soggetto. I volti, ridotti ai minimi termini, restituiscono sempre più con maggior fatica i lineamenti del modello. Alcune rappresentazioni accarezzano addirittura l’Astrattismo, dal quale però l’artista, prepotentemente affezionata alla figurazione, rifugge quasi immediatamente. Insomma, l’identità si smarrisce nella fantasia, nel capriccio deforme, in una sintesi nella quale è custodito il germe di quella straordinaria espressività della quale sono imbevuti i lavori maturi della Tarabusi. È in questa grottesca galleria di ritratti che l’artista metterà a punto le caratteristiche fisionomie dei suoi personaggi: volti tondi e paffuti, nasi sporgenti, labbra minute e grandi occhi neri sbarrati oppure assorti.

La sequenza delirante di maschere, scandisce inoltre un crescendo drammatico improvvisamente interrotto da una pagina logora e martoriata. «Qui è accaduto qualcosa», mi ha confessato Ginevra quando ho esaminato il foglio in questione. Si tratta di una pagina annerita da un’enorme chiazza scura che nel mezzo è squarciata. L’artista, in preda a un sussulto aveva infatti in questo punto rigettato definitivamente le prime ricerche figurative, annegando il disegno nel colore, trafiggendo simbolicamente il supporto.

Sorprendentemente questo episodio non ha tuttavia significato l’abbandono del quaderno. L’incidente ha invece innescato, contro ogni pronostico, una nuova stagione creativa per Ginevra Tarabusi. Come se osservare quell’acqua torbida divorare la carta avesse comportato una rivelazione in grado di placare la sua uggia.

A partire da quel momento, la crisi si è dunque riassorbita e l’artista ha cominciato a muovere i primi passi in direzione di un linguaggio tutto suo che ancora oggi impiega con incredibile coerenza e nel quale si ravvisano le influenze di Amedeo Modigliani, Marc Chagall, Emanuele Luzzati e Antonio Possenti.

Nei lavori che seguono, i volti vengono quindi improvvisamente illuminati dal colore, disordinate campiture a carboncino, olio e gesso acrilico modellano i personaggi. Le tonalità predominanti sono il rosso, il marrone, il blu e il verde. I lavori di Tarabusi si caricano così di un’intensità e di un’energia senza precedenti, per certi aspetti aggressiva. L’artista, spogliata della sua ingenuità, inaugura insomma un nuovo capitolo della propria ricerca in cui i materiali e la poesia del colore giocano un ruolo fondamentale.

Ginevra comincia ad applicare veli di colore e gesso uno sopra l’altro, ottenendo un impasto spesso. Quindi lascia che le pieghe e l’attrito delle pagine del quaderno contribuiscano a determinare l’immagine. I fogli si fanno pesanti, carichi di pigmento, talmente compatti da poter essere incisi con un raschietto. Accarezzandoli, ancora oggi, è inevitabile macchiarsi, percepire la materia, la sua consistenza, l’odore pungente. Sfogliare un libro di Tarabusi equivale a intraprendere un’esperienza sensoriale che ci precipita nel racconto, nella narrazione.

In questa fase, l’artista introduce i papiers collés, ritagli di carta colorata fissati al foglio, e l’utilizzo del filo da cucito con cui sutura addirittura alcuni lembi di pagina. Alle illustrazioni comincia inoltre ad associare brani di testo, motti, stralci di racconti. I quaderni si tramutano così in veri e propri libri d’artista che illustrano fiabe e racconti di ogni genere, riflettendo nondimeno certi umori e inclinazioni della Tarabusi. Forse per questo le sue nuove creazioni, malgrado l’esplosione di colori, sembrano tradire una vena malinconica, suggerendo spesse volte un’inquietudine incomprensibile.

I suoi primi importanti lavori della maturità sono La gabbianella e il gatto, tratto dal romanzo di Luis Sepúlveda (2017) e Il visconte dimezzato di Italo Calvino (2018), recentemente acquistato da una fondazione privata del Liechtenstein. A questi due seguono una serie di stampe realizzate attraverso una tecnica sperimentale chiamata gumprint che illustrano Il piccolo principe di Saint-Exupéry (2018) e un terzo volume ancora in fase di realizzazione ispirato al romanzo di Ian McEwan, intitolato L’inventore di sogni.

In conclusione, possiamo dire che Ginevra Tarabusi è un’artista che abita i suoi quaderni, si mescola al colore nelle sue illustrazioni al punto che si potrebbe sospettare provenga anche lei da un mondo fantastico. Mi piace pensare che nel realizzare i suoi libri, Ginevra vi rimanga un po’ invischiata. D’altronde, lo abbiamo visto, il suo è un lavoro autobiografico che ricalca la sua crescita personale come si trattasse di un diario o di un album di ricordi, un racconto dal quale non può svincolarsi proprio perché è la favola della sua vita. Ciascuna pagina è una tappa fondamentale del suo percorso, costituisce un tutto indissolubile, e dunque non è possibile isolarla senza compromettere una narrazione più ampia.

Per questa ragione, forse, nonostante avverta l’esigenza di battere nuovi sentieri, Ginevra viene puntualmente ricondotta al quaderno. Il libro coincide con la sua identità, è una fortezza incantata della quale è architetto visionario e prigioniera inconsapevole.

 

Alberto Corvi

 

G. Tarabusi, Scena tratta da La gabbianella e il gatto, oilbar e gesso acrilico 2017 | Tav. 3
G. Tarabusi, Scena tratta da La gabbianella e il gatto, oilbar, gesso acrilico e tela su carta, 2017 | Tav.  26
G. Tarabusi, Scena tratta da L’inventore di sogni, oilbar e gesso acrilico su carta, 2018 | Tav. 4
G. Tarabusi, Due particolari tratti da La gabbianella e il gatto, oilbar e gesso acrilico su carta 2017 | Tavv. 15-18
G. Tarabusi, Scena tratta da Il visconte dimezzato, oilbar e gesso acrilico su carta 2018 | Tav. 2
G. Tarabusi, Scena tratta da Il visconte dimezzato, oilbar e gesso acrilico su carta, 2018 | Tav. 24
G. Tarabusi, Due particolari tratti da L’inventore di sogni, oilbar e gesso acrilico su carta, 2018 | Tavv. 6-5
G. Tarabusi, Illustrazione tratta da L’inventore di sogni, oilbar e gesso acrilico su carta, 2018 | Tav. 12

 

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